Tra le definizioni tuttora valide c’è quella riportata nel vecchio trattato di Psichiatria di Romolo Rossini – Cappelli Editore, 1969 – pag. 142: “L’ansietà è priva di contenuto, anideica, libera e fluttuante, come nella nevrosi; oppure a contenuto immaginario come nelle psicosi, nella ipocondria, nelle fobìe (V. Porta)”. Più modernamente, possiamo dire che si tratta di un sintomo presente in una pluralità di stati alterati della psiche, sempre assai complessi. D’altro canto, non può esserci vita se non c’è ansia.
Infatti, in condizioni normali è garanzia imprescindibile affinché il soggetto sia costantemente in allerta, a tutela e difesa della propria incolumità. Quando, di fronte ad eventi contingenti, la percezione di disagio personale aumenta fino al punto da non essere più contenuta o tale da produrre altri sintomi fastidiosi come tremori, insonnia, facile affaticamento, eretismo etc., è bene parlarne con il proprio Medico di fiducia.
Se non si individua la causa scatenante e/o se non ci si pone rimedio con interventi razionali, – sempre secondo il Rossini – l’ansia sfocia nella “angoscia (che spesso va di pari passo con un sentimento di colpa) ed esprime il timore dell’annientamento del proprio corpo o della propria personalità, della disintegrazione dell’unità dell’io, della dissoluzione del sé (May; Cazzullo)”.
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